I ribelli del Monferace e il Grignolino di una volta

Sono 12 produttori dallo spirito ribelle, che sognano di riportare il Grignolino a ciò che era un tempo. Il Monferace nasce tra le colline del Monferrato, in provincia di Alessandria e Asti, in quella terra di infernot dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Scordatevi il Grignolino da pronta beva, quello ideale per la merenda sinoira, perché questo progetto ha tutt’altra ambizione.

Secondo il disciplinare che si è data l’associazione Monferace, il Grignolino deve affinare per almeno 40 mesi, di cui 24 in botte di legno, come avveniva una volta. Pare che i primi atti notarili, che testimoniano l’esistenza di questo vitigno, risalgano al 1249, conosciuto col nome di Barbesino. Molto più vicino a noi sono le testimonianze ottocentesche di un Grignolino in grado di affinare per 5, 7 o 11 anni, fino ad arrivare alla metà del Novecento dove nel testo di Dina Rebaudengo si legge: “Dopo cinque anni di invecchiamento – due in botte e tre in bottiglia – il Grignolino esce profumato, armonico, con colore rosso chiaro tendente al giallognolo, ottimo da arrosto”.

I 12 produttori del Monferace

Per produrre questo vino le uve devono provenire da vigneti esclusivamente collinari iscritti all’albo Monferace su terreni di conformazione calcarea-limo-argillosa. Il numero di ceppi per ettaro non può essere inferiore a 4.000. Dotato di spalla acida e buona tannicità, quest’uva ha una maturazione tardiva, quindi ha bisogno della stessa esposizione del Nebbiolo (S-SE-S-Ovest).

La prima annata in commercio è la 2015, già molto interessante all’assaggio, rivela tutto il carattere di questo vitigno ruvido, che non si concede subito, ma che ha bisogno di tempo per uscire allo scoperto, con una freschezza spiccata, una tannicità importante lontane dal facile addomesticamento. Dodici produttori, non meno di dodici declinazioni nel calice, tutte legate da questa impronta identitaria data dal Grignolino.  

Il Monferace è sicuramente vino tutt’altro che banale, che divide, che lo si ami o no. Un vino riscoperto, che dovrà trovare la propria identità commerciale, ricavandosi uno spazio accanto ad altre denominazioni piemontesi già famose e acclamate dalla critica. Una sfida che non spaventa i 12 produttori, caparbi, ribelli che hanno saputo fare gruppo in questi anni, andando fuori da certe logiche individualiste dalla tipica impronta italica. Ribelli certamente, ma soprattutto coraggiosi.

L’annata 2015